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Versace special guest al Folgaria Basketball Camp

Lo “special guest” del quinto e ultimo turno del Folgaria Basketball Camp, al via ieri, risponde al nome di Dick Versace. Alla prima esperienza italiana con un basket camp, 70 quest'anno, Versace si è presentato a Folgaria in gran forma e con tanta voglia di lavorare con i “campers”. Lo abbiamo incontrato nella centralissima via Colpi, davanti ad un calice di Marzemino, in una Folgaria che brulica di turisti, attirati, tra l'altro, dal ritiro del Napoli Calcio e della Nazionale di basket serba di coach Ivkovic. Accanto a Dick, la compagna Doroty, oltre naturalmente al direttore del FBBC Renato Caroli e al responsabile dello staff Roberto Rugo.
Coach, com’è stato il primo impatto per lei con il Folgaria Basketball Camp? «Ho trovato il camp di Folgaria molto organizzato, sono contento che i genitori si fidino a mandare qui i propri figli, che vengono per fare un’esperienza unica sia sul piano sportivo che umano».
Che impressione ha avuto del direttore Renato Caroli? «Rollie Massimino e Rudy D’Amico mi hanno parlato molto bene di Renatone. Adesso che l’ho conosciuto dal vivo, posso confermare che si tratta di una persona molto gentile e speciale».
Alla sua età, chi glielo fa fare di mettersi in calzoni corti ad insegnare basket ai bambini? «Prima di tutto non sono vecchio! A me piace molto stare con i giovani, giocare e scherzare con loro: ho visto in loro tanto entusiasmo che è lo stesso che ho io ogni qualvolta entro in palestra».
Dove ha iniziato la sua carriera di coach? «Ho cominciato a insegnare basket e football nelle high school di Chicago. A livello di high school ho conseguito il 92% di vittorie, tanto che mi sono arrivate un sacco richieste da parte dei college basketball. Ho allenato un anno a St. Louis per poi passare a Michigan State, dove, nei due anni di mia permanenza, ho avuto tra i miei atleti Magic Johnson. Sono tornato ai Junior College dove ho conseguito un sacco di vittorie; il passo successivo è stato alla Bradley University dove sono rimasto otto anni: nel 1982 ho vinto il titolo e nel 1986 sono stato nominato "coach of the year". Tra i miei atleti a Bradley ricordo in particolare Hersey Howkins con cui, nell'ultimo mio anno, ho avuto un record di 32 vinte e 2 perse».
Così finalmente è arrivata la chiamata dall' NBA? «Esatto, sono stato contattato da Chuck Daly che mi ha portato a Detroit dove sono stato il suo assistente: al primo anno abbiamo raggiunto la finale NBA in cui abbiamo perso in gara-7 con i Lakers di Magic, Byors Scott, James Worthy, AC Green. Nella stagione successiva sono diventato capo allenatore degli Indiana Pacers per 2 anni: da notare che nelle precedenti 9 stagioni i Pacers non avevano mai raggiunto i play off, sotto la mia gestione disputammo i play off in entrambe le stagioni. In seguito ho fatto il commentatore per la TNT per 5 anni. Sono tornato in panchina nel 1997, a Milwaukee, allorquando ho avuto la possibilità acquistare una franchigia e ho comprato i Vancouver Grizzliers che poi ho trasferito a Memphis: lì ho vissuto i miei ultimi 5 anni nell'NBA da general manager, in cui ho avuto allenatori come Hubie Brown e Mike Fratello».
Esiste tanta differenza tra il basket americano e quello europeo? «Fino a poco tempo fa la differenza era enorme, negli ultimi anni il gap si è assottigliato notevolmente. Diversi giocatori europei sono sbarcati nell'NBA: nel draft del 2001 scelsi con il numero 3 assoluto Pau Gasol, che rimase a Memphis 7 anni, prima di passare ai Lakers dove ha conquistato 2 titoli NBA».

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