Filippo Stevan ad un bivio
Filippo Stevan, playmaker della Virtus Altogarda, uno dei migliori della stagione in DR1, “forestiero” vista la sua origine veronese e da cinque stagioni in regione. Ora ad un bivio importante, dove non ha ancora deciso il suo imminente futuro, se rimanere o lasciare la nostra regione. Giocatore talentuoso, tanta grinta in campo, simpaticissimo fuori dal parquet, estremamente legato alla famiglia e con un animo artistico che non conoscevamo prima d’oggi.
La domanda doverosa e di rito, cosa vuoi dirci sulla stagione appena terminata?
«Direi che abbiamo avuto alti e bassi rispetto alle aspettative che avevamo, partenza un pò in discesa, poi ci siamo tirati su, poi nuovamente momenti giù. Alla fine siamo arrivati ad un buon risultato, non il migliore, eliminati dalla squadra che ha vinto il campionato, grazie sopratutto a due innesti che venivano dalla serie B. Siamo stati bravi a rimanere incollati con le unghie e a non farci mai abbattere dal tutto nei momenti complicati. Se fossimo andati in finale con Creazzo ce la saremo giocata sul serio. Personalmente la reputo una buona stagione.»
Il tuo futuro personale invece? Rimarrai alla Virtus, oppure come da voci che circolano non è certa la tua permanenza in regione?
«E’ un bel punto di domanda, non sto dando certezze a nessuno, sono come in un bicchiere d’acqua enorme e non so cosa fare. Riva del Garda per me è lontana, da Verona ci metto un’ora e un quarto ad andare e lo stesso a tornare. Da dicembre sto facendo due viaggi a settimana più la partita, è davvero impegnativo. Ho chiesto alla società se mi trovano qualcuno che mi facesse compagnia nel viaggio, non abbiamo trovato nessuno con il quale dividere l’impegno, Riva del Garda non è così comoda come location. Con la Virtus mi sono trovato benissimo, poi forse Bailoni smette, Frattarelli sembra che vada a lavorare a Milano. Società stupenda dove sono stato accolto a braccia aperte, ma l’impegno per venire da Negrar è notevole. Alternative ne avrei, ma non ritornerei mai al momento con la mia squadra di provenienza, l’XXL Pescantina, finché c’è l’allenatore attuale non ritornerò mai. Potrei pensare al Buster Verona, ma il livello è più basso. Sto valutando anche altre opzioni venete, come Creazzo, ma anche in quel caso la strada è molta da fare. Sto valutando in DR2 in Veneto, ma c’è poco nella mia zona. Avrei possibilità in DR3, magari con amici, prendere una squadra e portarla su di categoria. Sono giovane, ho tempo, ancora non ho deciso, certo la Virtus mi ha fatto proposte e mi sono sempre trovato bene, devo valutare seriamente.»
Domanda ipotetica, tipica estiva. Dovessi portare una squadra ad un torneo e dovessi decidere tu chi convocare, quali giocatori della tua categoria ti porteresti con te?
«Io play direi, mi servirebbe una guardia che penetra, quindi Samb, una guardia tiratrice, potrei direi Molo ma è scontato, ci vedo di più un mio caro amico, Riccardo Mignolli di Lonigo, siamo amici da sempre, come ala grande Frattarelli e come centro Martinatti. Molo ovviamente sarebbe un ottimo rincalzo. Non una formazione scontata, anzi.»
Come è stato il dualismo con Margoni in questa stagione?
«Non di certo una rivalità, ci completiamo molto, in certe occasioni più efficace lui, in altre io. Due stili di gioco molto diversi, io più difensivista quando serve, lui più offensivo, eravamo speculari, non è mai stato un problema di rivalità, siamo super amici fra l’altro.»
La scelta tua sul ruolo di play è una tua scelta o imposta da qualche coach in fase giovanile?
«Dovuta all’altezza e stazza, non sono altissimo, uno e ottanta, ho anche una buona visione di gioco e diventare play è stata una cosa naturale. Poi al campetto gioco sempre da lungo tiratore, quello che non sono in campionato. Direi da sempre in questo ruolo.»
Hai mai sofferto l’incubo nel tuo ruolo, di aver un giocatore che giochi solo per disturbare la tua manovra e faccia di tutto solo e soltanto per rubarti palla?
«Ci sono quelli che pressano a tutto campo e sono i più rognosi, specie nelle squadre più giovani, non le più forti, ma le più fastidiose. Ci sono anche quelli che ti mettono da subito le mani addosso, sono odiosi e sono l’incubo di tutti i play.»
Senza l’intervento di alcun coach, nelle tue corde, quanti schemi hai di tuo tendenzialmente in campo quando dai le strategie ai compagni?
«Quest’anno avevamo tre schemi, quando lo schema era rotto e non andava a buon fine, il lungo veniva a portarmi il blocco con il pick and roll, oppure da subito il pick and roll. Direi quattro-cinque schemi a disposizione.»
Sei un play che ascolta il suo coach o sei uno che fa di testa sua?
«Di base ascolto, però quando entro nella partita mi alimento di adrenalina. Ogni tanto avrei bisogno di qualcuno che mi dica di fermarmi e riflettere.»
Hai un mito di riferimento nel basket?
«Ci ho pensato molto, a dire il vero non ho mai avuto un mito. Stimo molti giocatori e li seguo. Provo ultimamente una certa simpatia per Dillon Brooks, il cattivo dell’NBA (Houston Rockets, N.d.a.).»
Se dovessi identificarti in un animale, un animale che gioca a basket, quale sarebbe il tuo animale simbolo?
«Difficilissima questa...non saprei. Quest'anno però con la squadra ci chiamavamo “ratti di fogna”, e questo potrebbe essere il mio animale, un pò furbo e tanto bastardo.»
Al di fuori del basket, nella tua vita cosa c’è, magari un lato della tua personalità che non conosciamo?
«In realtà non molto, gioco a basket e vado al lavoro, nulla che valga la pena citare, al di là dello stare con amici e con la ragazza. Nulla di particolare, nessun hobby, il basket mi assorbe molto.»
Se dovessi essere un artista, di qualsiasi tipo, chi vorresti essere?
«Difficilissima anche questa. Non ti saprei dire chi, ma mi piacciono le statue. Non solo di marmo, ma anche di bronzo. Da me in azienda ne abbiamo varie, non me ne intendo ma mi piacciono tanto. L’arte in generale mi piace molto.»
Rovereto a parte, che è scontata. Di tutte le squadre incontrate, chi ti ha fatto più impressione in campo?
«Direi Arzignano all’andata, invece al ritorno ce la siamo giocata bene, nel girone d’andata pensavo che fossero i più forti e che vincessero la stagione.»
Rovereto senza Pisoni e Czumbel come sarebbe andata?
«Avrebbe perso Rovereto senza loro due, vincevamo noi in semifinale e avremmo giocato la finale contro Creazzo.»
Secondo te, vedendo da fuori la situazione, come vedi il futuro della squadre trentine nel campionato di DR1?
«Io la vedo dura come numeri sul breve termine. A far bene dovrebbero raggrupparsi e provare il salto di qualità, ma nell’immediato non vedo uno strapotere in DR1 delle formazioni regionali, magari con gli anni tutto è possibile.»
Da dove nasce il tuo amore per il basket?
«Da mio papà, che gioca tuttora, ha 55 anni e adesso vado a vederlo giocare, è in una squadra CSI, lui ha sempre giocato e già da piccolo mi ha passato la passione. Anche mio fratello gioca a basket, la pallacanestro è di famiglia.»
Rimpianti per come è andata la stagione, per non aver vinto il campionato?
«Un pò sì, non aver vinto pesa ma doveva andare così evidentemente. Sono poco drammatico per quanto accaduto, è andata così, probabilmente doveva andare così.»
Se dovessi abbandonare il Trentino, come valuti questa tua avventura nella nostra regione?
«Una mezza annata al Cus e c’era la pandemia, due anni nei Night Owls e due con la Virtus. L’esperienza mi è piaciuta, in cinque anni cresci dal punto di vista umano e sportivo, credo di esser cresciuto molto in Trentino.»
Tolto il collega Margoni, quale collega play ti ha impressionato maggiormente in questa stagione?
«Se si può definire play, sicuramente il più preparato Mark Czumbel, un giocatore di altra categoria, un fenomeno.»
Invece parlando di Margoni, qual’è il suo futuro?
«Da rumors, potrebbe cambiare formazione, so che ha ricevuto delle proposte, ma non si sa nulla in realtà. Se continua ad impegnarsi così può crescere. Purtroppo, come per me, vista la stazza, non può puntare alla serie A, ma di certo farà carriera se continua seriamente il suo percorso.»
Qualche rimpianto per non aver concluso l’università, motivo per il quale hai raggiunto il Trentino?
«No, nessun rimpianto, ognuno deve provare a fare le sue esperienze, anche se vanno male ti lasciano qualcosa. L’importante è come affrontare le cose, ho imparato che quello non era il mio settore, nella vita sta tutto come si accolgono le cose.»