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Divisione Regionale 1

Il senso di Molo per il basket

Parafrasando il titolo del noto romanzo dello scrittore danese Peter Høeg, facciamo un viaggio nel basket trentino, visto con gli occhi di un giocatore che viene dalla pianura, Tommaso Molo della Virtus Altogarda. Guardia tiratrice originaria di Cremona, scuola Vanoli, alla sua quarta stagione in regione e famoso per il suo micidiale tiro da tre, che ben si addice al suo soprannome: Molotov.

Rompiamo il ghiaccio chiedendoti come è stato il tuo anno personale e l’annata della Virtus?

«A livello personale possiamo dire che sicuramente è stato un anno positivo. All’inizio ho fatto un po’ di fatica: da quando sono in Trentino ho cambiato squadra ogni anno, naturalmente c’è stato bisogno di tempo per adattarsi al nuovo contesto. Poi, dopo solo un mese, ho subito un’operazione chirurgica e sono stato fermo per circa un mese; al rientro ero fuori forma, i meccanismi di squadra erano cambiati ed era il momento più difficile della stagione. Perciò, il mio minutaggio era minimo e sono entrato un po’ in un circolo vizioso. Ho avuto bisogno di riacquisire sicurezza nel mio tiro, per fortuna nella trasferta a Lonigo,
prima della pausa natalizia, mi sono sbloccato. Poi, dopo le festività, nella pratica contro il Buster Verona, ho messo a segno quei 28 punti con 8/11 da tre, ancora non me ne capacito. Da quel momento la mia stagione è svoltata, ho avuto sempre un buon minutaggio in campo e penso di aver contribuito all’ottimo risultato di squadra. A livello collettivo, la società aveva creato una formazione che potesse competere con le prime e, anche a livello di spogliatoio, eravamo convinti di poter far bene. È vero che non siamo arrivati dove speravamo – la vittoria finale – ma non siamo andati lontano, ci ha fermati la squadra che poi ha vinto il campionato. È comunque stata una stagione fantastica, il gruppo è sempre stato unito e via via è andato migliorando anche il rapporto con gli allenatori. La società è seria, ben strutturata anche a livello giovanile ed è sempre
stata molto presente, tutti ci hanno fatto sentire il calore di cui necessitavamo. Chiudo con una nota di colore, chi non ha provato le crostate della nostra dirigente accompagnatrice Sara, non può dire di aver mai provato delle crostatine.»

Con Rovereto senza Czumbel e Pisoni, come sarebbe andata in semifinale?

«Chiunque è onesto intellettualmente sa che avremmo vinto noi. Eravamo già la squadra più profonda, più unita e più in gas in quel momento. Senza le due aggiunte da Valsugana saremmo stati anche sul loro stesso livello tecnico. Rovereto senza Czumbel e Pisoni, non ce l’avrebbe fatta contro di noi. Non è una mancanza di rispetto verso gli altri giocatori del Rovereto, che sono tutti fortissimi, ma l’innesto di due giocatori di due categorie superiori ha spostato l’ago della bilancia verso di loro. Ma ha poco senso parlarne, questo è
accaduto, non si può tornare indietro, Rovereto senza loro due è un universo che non è mai esistito, e mai esisterà, è andata come è andata.»

Da dove deriva il soprannome Molo-tov, chi te lo ha dato?

«E’ un soprannome non legato alla pallacanestro in origine. Me lo ha dato un mio amico a Cremona. Funziona molto perché richiama il mio cognome, ma anche il mio nome abbreviato: il “tov” ricorda Tom, quindi Tommaso. Poi, al tempo si può dire che ero molto ribelle e le molotov sono le tipiche armi a basso costo dei ribelli. Nel mio primo anno a Trento, ai Night Owls, il “prof” Comparini mi chiese se avessi un soprannome e, preso alla sprovvista, dissi che gli amici mi chiamavano Molotov. Al “prof” piacque e disse che era perfetto anche per il basket, in quanto essenzialmente tiro soprattutto bombe da tre, da allora molti mi chiamano così.»

Come mai questa tua grande propensione ai tiri da tre?

«Sono sempre stato basso e magro e alle giovanili era molto evidente, giocavo da
playmaker, ma non ho mai avuto il primo passo fulmineo che hanno le tipiche point guard di oggi, come i miei ex-compagni di squadra Stevan e Margoni. Quando sono stato chiamato dalla Vanoli Cremona per giocare in eccellenza, l’allenatore di allora, Giuseppe Mangone (attuale vice di Messina a Milano e allenatore della nazionale italiana U16), mi prese da parte e mi disse che se volevo stare in campo, sarei dovuto diventare una macchina da tre punti. Quindi, ogni giorno, finito scuola, veniva a prendermi con il pulmino, pranzavo al palazzetto, e poi facevo un’ora di soli tiri da tre prima di iniziare il
vero allenamento con gli altri compagni di squadra. È stato un anno parecchio pesante, ma oggi ne vedo i frutti.»

E adesso qual’è la tua routine di allenamento?

«Ora non ho più il tempo, tra università e altri impegni non riesco ad allenarmi anche fuori dagli allenamenti di squadra. In più impiego 45 minuti ad andare e 45 a tornare da Riva del Garda, non ho più la possibilità di fare un’ora al giorno di soli tiri da tre.»

Prima abbiamo nominato altri due “forestieri di lusso”, Stevan e Comparini, loro due hanno fatto alcune stagioni in Trentino, invece tu sembra che abbia voglia di rimanere anche dopo l’esperienza del basket, come mai?

«Sì, io spero di rimanere anche dopo l’università. Adesso ho finito la triennale, inizio la magistrale e quindi rimarrò altri due anni almeno. Il Trentino mi piace, è un posto in cui sarei contento di vivere, mi piace l’ambiente naturale e le cose funzionano meglio che da altre parti. Vorrei trovare un paesino fra le montagne dove abitare e lavorare qui.»

Tu sei arrivato in Trentino che l’effetto Aquila Basket aveva già dato impulso al movimento regionale. Secondo te cosa manca ancora per poter fare il salto di qualità e diventare un territorio dove di mangia pane e basket?

«A mio avviso c’è carenza di settori giovanili seri, per carità ci sono dei settori giovanili seri e strutturati, ma sono troppo pochi. Inoltre, serve una diffusione più capillare della pallacanestro in regione, in certe zone non esistono società. Non sto parlando di squadre di DR3, sono i settori giovanili che servono al movimento: da lì escono i nuovi giocatori ma soprattutto i nuovi appassionati. I giocatori di serie D e C che produci sono sì importanti, ma è più importante creare appassionati per il futuro. Già i numeri non sono enormi in Trentino, se poi ci sono zone cestisticamente deserte sarà difficile allargare il bacino d’utenza. L’orografia non aiuta, certo, ma senza squadre in molte valli sarà difficile avere
futuri appassionati di pallacanestro.»

Parlando di giovani, quest’anno in particolare modo le nazionali giovanili si sono dimostrate molto forti, mentre la nazionale maggiore è chiaramente in seconda fascia, non di certo fra le papabili alla vittoria degli europei. Come vedi questa vistosa differenza?

«Premetto che io non sono particolarmente patriottico. Non mi strappo i capelli se perde, non scendo in piazza con le bandierine se vince. Ma la vittoria della nazionale farebbe bene al movimento, portando persone a praticare, lo si vede con Sinner nel tennis e con le nazionali di pallavolo, che attirano un sacco di appassionati. I campioni attirano, c’è poco da dire. Quello che manca è la transizione fra le giovanili e le senior. Nella mia infima carriera, ho visto miei compagni di squadra delle giovanili molto più forti di me che oggi o hanno smesso o sono in serie bassissime, quando avrebbero potuto diventare ottimi giocatori. Vedo troppi ragazzi potenzialmente forti che vanno a marcire in panchina in campionati in cui a 19-20 anni non possono competere, ma questo non serve a nulla. Io
ho avuto la fortuna, anche grazie a degli infortuni, che al mio primo anno, nei Night Owls, Caldara mi ha fatto giocare tanto. Ho avuto modo di sbagliare, migliorare e prendere consapevolezza dei miei mezzi; se quell’anno avessi guardato dalla panchina, oggi sarei la metà del giocatore che sono. Molti, a qualsiasi livello, perdono anni nelle panchine di squadre troppo forti, sprecando tempo prezioso. Andare in una squadra troppo forte può essere deleterio, è più importante scendere in campo e far minuti, poi si salirà di categoria quando si potrà fare la differenza. Tornando alla nazionale, vedo troppi giocatori che preferiscono andare a giocare a briscola in fondo alle panchine di Milano, Bologna,
Venezia, ecc. piuttosto che firmare in squadre minori che li farebbero giocare e crescere.»

Prima abbiamo parlato del futuro del basket trentino. A tuo avviso, le sorti del
movimento possono passare anche dalla crescita del fenomeno 3x3, da evento visto come estivo ad un vero e proprio campionato?

«Io amo il 3x3, probabilmente il fatto che sia quasi assente la cultura del 3x3 non aiuta di certo il movimento Trentino. Se si dovesse affermare e diffondere, può essere d’aiuto a tutta la pallacanestro, anche perché meno caro a livello economico. Tuttavia, bisogna ricordare che è un altro sport, con un modo di giocare diverso e con dinamiche diverse; inoltre penso sia difficile che il 3x3 possa trainare il 5 contro 5. Ma in generale potrebbe aiutare tutto il movimento in quanto più spendibile nelle valli, questo è certo.»

Basket e i tuoi studi di sociologia, sappiamo che ti piacerebbe coniugare le due cose, come potrebbe essere possibile?

«Non saprei, ma coniugare la mia passione ai miei studi sarebbe un sogno. Non mi viene in mente un lavoro specifico che metta insieme queste due cose, ma credo che le competenze di un sociologo potrebbero fare comodo ad esempio in Federazione. Se
qualcuno ha un suggerimento per me, ben venga!»

Ho notato che a differenza di molti tuoi colleghi, hai una visione organizzativa positiva sulla pallacanestro. Attaccate le scarpette al chiodo, quale vorresti fosse il tuo rapporto con la pallacanestro?

«Sinceramente mi vedo con un ruolo nell’ambito basket fuori dal campo. A fine agosto inizierò il corso per allenatore, quindi mi piacerebbe fare il coach quando la mia misera carriera finirà. Già ora mi piace studiare scelte tattiche e capire a fondo le situazioni di gioco, e i miei studi universitari potrebbero rivelarsi utili per la gestione di un gruppo. Se dovessi essere negato come allenatore, farei volentieri il dirigente. In generale, mi piacerebbe aiutare il movimento crescere, è la mia passione e se potessi portare il mio apporto e le mie competenze, ne sarei più che felice.»

Fuori dal basket, hai altre passioni sportive?

«Per me c’è solo il basket in ambito sportivo, gli altri sono sport minori (mentre lo intervisto scopre dal sottoscritto che la squadra di calcio della sua città, la Cremonese, è stata promossa in serie A). In Serie A, tifo ovviamente per la Vanoli Cremona. In NBA i San Antonio Spurs. Da bambino, nel 2013, quando la Francia vinse gli europei, Tony Parker mi aveva colpito e decisi di tenere per la squadra dove lui giocava. Fra l’altro ci giocava anche Marco Belinelli, giocatore che ho sempre adorato e che negli anni ho studiato molto. Avevano anche un gioco di sistema, più europeo che americano, e in più vinsero il campionato: come spesso accade da bambino, la squadra se vince poi ti rimane nel cuore. Devo dire però che non sono un appassionato sfegatato dell’NBA, seguo quasi solo i playoff. Ben diverso è per Serie A ed Eurolega, di cui sono malato.»

Altre grandi passioni?

«Il basket mi assorbe molto a livello di tempo. Adoro andare in montagna, sia in estate che in inverno, ma sempre con le scarpe, mai con gli sci. Tuttavia, tempo ed energie sono quello che sono, quindi forse la passione che più riesco a coltivare è quella della cucina. Quando sono da solo mi rilassa molto, la uso come pausa dallo studio. Ma mi piace cucinare anche con altri, con la mia ragazza, mia nonna, mia mamma. È un modo fantastico di passare il tempo con le persone che amo.»

Parlando di cucina, quale piatto saresti se dovessi definirti?

«Se fossi un piatto, direi la pasta al pomodoro della nonna, semplice, gustosa, senza impiattamento da ristoranti stellati, ma, per qualche strano motivo, fuori moda. Spiego. Mi ritengo una persona genuina, a cui non interessa l’apparenza. Poi ho gusti controcorrente rispetto ai ragazzi della mia età, zero fast food, non ho social e non mi piace la vita notturna. Mi sento fuori dal mio tempo. Quindi, in quest’era dei cibi estetici, esotici e di tendenza, io mi ritengo una pasta al pomodoro della nonna.»

Hai un tuo quintetto ideale con il quale affronteresti un torneo estivo?

«Come playmaker, Jacopo Paroni, che in Trentino ovviamente non conosce nessuno. Play d’altri tempi, è il White Chocolate di Cremona, gioca in DR2 ma solo perché gli manca il "physique du role", ma certi passaggi e certe visioni di gioco le ho viste solo in lui e Teodosic. Guardia tiratrice, me stesso. Come ali Feddy Bailoni, pilastro del basket trentino, e poi il prof Comparini, che in trentino avete visto solo a fine carriera, ma era una ala piccola devastante all’apice della sua attività, e vi do una chicca: compagno di stanza di un certo
Danilo Gallinari in ritiro con la nazionale giovanile. Come lungo Riccardo Frattarelli, ho ancora in mente la sua partita dominante a Creazzo dopo un anno e passa di stop.»

Sul futuro della Virtus Altogarda, puoi dirci qualcosa?

«Quelli che andranno via sono: Stevan, Margoni, Samb, Bailoni, Spinelli e Frattarelli. Partenze molto importanti, importantissime, per cui la squadra cambia di certo volto. Andrà via anche il giovane Calza, che avrebbe trovato posto nella nuova formazione. Ma
comunque non si riparte da zero: le conferme sono Lever, Potrich, Madella Andrea, Martinatti e io. Per quanto riguarda il mercato, i nuovi arrivi che mi è concesso menzionare sono Amedeo Madella, playmaker e fratello di Andrea; Diego Zanella da Rovereto, che torna alla Virtus; Mirko Broggio, anche lui da Rovereto; e due giovani che hanno ben
figurato nel Basket Pergine in DR2: Nicola Dallaserra e Francesco Folgheraiter. Non posso dire altro per il momento. Avremo poi un nuovo allenatore, un professionista, Marco Di Salvatore, sono sicuro che questo ci darà una marcia in più. Paolo Betta rimarrà come vice, sono contento di ciò, era importante mantenere una certa continuità con la stagione scorsa.»

Sappiamo poco o nulla sul nuovo coach, cosa sai dirci a proposito di Marco Di
Salvatore?

«Non lo conosco, non ci ho mai parlato, ero in vacanza quando ha incontrato la squadra a luglio. Ma mi è stato detto da Manuel Raffaelli che ha fatto a tutti un’ottima impressione ed è un vero professionista. Io ritengo che sia il vero colpo della Virtus dell’estate. I nuovi sono per lo più giovani e hanno meno esperienza di quelli che partono, credo che sarà proprio la sua esperienza e la sua professionalità a fare la differenza, vedo un futuro roseo per la Virtus.»

Qualche idea sulle favorite per il prossimo campionato di DR1?

«Non ho la minima idea di chi giochi nelle varie squadre, non conosco la situazione di Civezzano e Rovereto, men che meno quella delle formazioni venete. Non saprei
rispondere a questa domanda.»

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