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La nostra intervista a Vincenzo Cavazzana

Alla vigilia della storica sfida che vedrà per la prima volta l'Armani Jeans Milano calcare il parquet di Trento, abbiamo voluto scambiare due chiacchiere con il vice allenatore di Buscaglia, che oltretutto è stato anche uno dei giocatori dell'Aquila Basket all'inizio del percorso che l'ha portata in serie A. 

Per cominciare ti chiediamo com’è la tua esperienza a Trento, sappiamo che sei stato uno dei primi giocatori da fuori regione a venire a giocare per l’Aquila Basket quando ancora militava in serie C2 e poi ti sei fermato. Iniziamo da quell’esperienza, cosa ci dici al riguardo?
«Si sono stato uno dei primi giocatori “foresti”, venivo da Brescia, era l’anno 2000 e la squadra era stata appena promossa. Giocavo con Robinson, Zini, Camera ed eravamo allenati da Salvatore Trainotti. Io ho sposato un progetto, di una squadra neopromossa in C2, che passo dopo passo ora è nella parte alta della classifica di serie A».

Quanto è grande la soddisfazione di far parte di un progetto che comincia dalla C2, ovvero nulla di professionistico, a sedere ora sulla panchina si una squadra professionistica che naviga nella parte medio alta del massimo campionato di basket?
«Io sono solo un piccolo ingranaggio di questo progetto, ma la cosa che mi riempie di gioia, ci sono state tante persone che hanno messo la propria professionalità al servizio di questa squadra. Parlo di Angelini, Zobele, tutta gente che ha un’attività di un certo spessore, che ha dedicato questa professionalità per far crescere questa squadra.  Salvatore Trainotti, da allenatore poi è diventato il general manager e piano piano con idee chiare, senza mai fare il passo più lungo della gamba ha creato un progetto che in qualche modo mi ricorda quelli delle squadre dei college americani. La sensazione di far parte di un progetto dinamico è una bella cosa, una visione globale della pallacanestro, non guardare solo al proprio territorio, perché ormai la pallacanestro è globale». 

È stato un salto nel buio venire da una realtà come Brescia, realtà medio grande, passare ad una squadra di provincia neopromossa in C2, all’esordio in quel campionato?
«Diciamo che io in quel momento ero a fine carriera, mi era piaciuto il modo in cui mi era stato presentato il progetto ed io già allenavo. Poter trasmettere la mia esperienza ai più giovani era una cosa importante. Mi era stata data anche la possibilità di allenare le giovanili e questo mi entusiasmava. Accettai e sposai in pieno il progetto. Sono stato molto soddisfatto di quel tipo di progetto».

La conoscevi la città prima di venire a Trento?
«Poco, pochissimo, ero venuto qualche volta perché allenavo Riva del Garda. Ma la città e la realtà cestistica di Trento non la conoscevo e non era ancora affermata».

Prima abbiamo accennato della serie C2. Attualmente della nostra regione ci milita soltanto l’Europa Basket Bolzano. Quanto è difficile la serie C, specie se inserita nella realtà veneta, come lo è la nostra?
«Una delle difficoltà di questo campionato di certo sono le distanze.  Per una società diventa un problema di tipo economico. Il livello delle squadre venete è notevole, ci sono grandi squadre che sfornano giovani di talento e per le squadre trentine non è facile. Spesso si è costretti ad andare ad acquistare talenti da altre regioni per compensare, ma tutto questo ha dei costi. Una soluzione potrebbe essere l’inserimento di under 19 dell’Aquila Basket in una di queste squadre, magari facendogli fare un doppio campionato, una doppia esperienza».

In molti non conoscono l’esatto ruolo del secondo allenatore nel basket, forse perché abituati al ruolo unico che ha l’allenatore nel calcio. Ci vuoi parlare del tuo ruolo di vice allenatore?
«Quest’anno siamo in tre perché c’è anche Davide Dusmet. Tendiamo a dividerci equamente i ruoli e compiti, dai video agli scouting. Davide si occupa principalmente delle caratteristiche degli avversari, mostrando video delle partite. Io mi occupo più dei giochi degli avversari e poi con Buscaglia ci dedichiamo alle scelte tattiche. La rifinitura del video da mostrare ai giocatori, anche se il video aiuta, ma alla lunga la concentrazione si abbassa».

Ci sono almeno tre scuole di pensiero sull’uso degli stranieri in campionato. La prima è quella che vorrebbe rinunciare completamente o ridurli al minimo, ma non ci interessa in questa domanda. L’altra è come quella di Trento, ovvero puntare sugli americani, oppure come quella di Reggio, puntare su balcanici o lituani. Com’è la tua visione dello scouting?
«Diciamo che ci scontriamo non solo su scelte tecniche, ma ci sono anche scelte economiche, anzi soprattutto economiche. Un italiano che ha un certo impatto costa molto, come un lituano in nazionale costa moltissimo. Gli americani costano meno, perché ne escono molti dai college. Il rapporto qualità prezzo fa sì che si scelgano gli americani. Se i budget fossero più alti, si potrebbe pensare a cercare giocatori italiani o nazionali serbi o lituani, ma al momento non è semplice».

A inizio stagione avreste mai pensato di ritrovarvi in questa posizione, guardando molte squadre dall’alto in basso e ben lontani dalla zona retrocessione?
«Senza dubbio ci avremmo fatto la firma. Quando si parte in serie A, non è facile, è difficile vincere in questo campionato. I nostri giocatori sono tutti esordienti, anche gli stranieri. In poco tempo si sono tutti adattati a un campionato difficile».

Tu che hai visto tutto il percorso dell’Aquila Basket, come hai visto il radicamento di questa squadra nel cuore dei trentini?
«Questo è uno degli aspetti migliori di questa esperienza. Io ho iniziato e giocavo al Santa Chiara e non era pieno. Poi si riempiva nei playoff. Poi in Legadue ad inizio stagione c’erano 1.200 spettatori con il sold out nei playoff. La società ha fatto molto per radicare la squadra sul territorio, ha creato tante iniziative di contorno. La crescita esponenziale è frutto di questo lavoro, certo i risultati hanno aiutato, aiutano sempre. Sempre più gente, anche che non conosce la pallacanestro, viene per vedere questa realtà».
 
Ti piacerebbe allenare una squadra da primo allenatore?
«A dire il vero mi trovo bene anche in questo ruolo, preparare le partite, far crescere i giovani. Io sto bene così, essere in uno staff è gratificante ed io lo sono».

Magari molti non lo notano, ma il basket è uno sport fatto anche di statistiche. Quanto è importante conoscere l'abilità ai liberi di un giocatore o il numero di rimbalzi per partita?
«Le statistiche sicuramente aiutano, perché quando si compiono scelte tattiche si guardano i numeri di un singolo giocatore. Conta molto anche lo spirito con le quali si affrontano. A metà partita ci chiediamo se le scelte tattiche sono giuste o sbagliate. A volte basta cambiare l’atteggiamento e cambia anche l’inerzia della partita».

Milano verrà a Trento per vincere ovviamente, come interpreterete questa partita?
«Sappiamo benissimo che non si pone il problema di dove va a giocare. È attrezzata per l’Eurolega e va per vincere dappertutto, ha una rosa con forte esperienza a livello europeo. Hanno rispetto per gli avversari, ma una base di gioco che rispecchia il concetto del loro allenatore, difesa aggressiva che sporca il gioco avversario. Noi li affronteremo da debuttanti, con la faccia tosta di chi non ha paura e tanta energia sul campo. Bisognerà cercare di accelerare i tempi di gioco per non affrontarli a difesa schierata».

La partita più bella sin qui giocata e anche la più deludente?
«Ogni partita cerchiamo di trarre degli insegnamenti. senza dubbio la più bella quella con Sassari. Sia per gli avversari sia per lo sviluppo stesso della partita, una ciliegina sul nostro campionato. La più brutta direi quella con Avellino, dove abbiamo giocato sottotono, si poteva anche vincere, ma non abbiamo mai trovato un ritmo adeguato».

Un giocatore di alte squadre che ti piace e vorresti avere nel tuo roster?
«Direi Cinciarini fra gli italiani. Sta dimostrando molto sia nel suo ruolo e insegna l’atteggiamento ai giovani della propria squadra, con Reggio sta facendo davvero bene».
 
Conosciamo due passioni che alimenti fuori dal basket, ovvero il rugby e Bruce Springsteen. Come sono nate?
«Il rugby è legato alla conoscenza di due ragazzi. Quando feci il provino per il Brescia, a 14 anni ero con loro, ma loro non riuscirono a sfondare nel basket, così passarono al rugby, dove fecero molto bene. Sono diventati nazionali, sono Bonomi e Marangoni, conquistando anche il titolo di campioni d’Italia. L’amicizia con loro mi ha fatto amare questo sport. Quando guardo una disciplina in televisione scelgo il rugby. Bruce Springsteen, perché degli amici mi portarono ad un suo concerto e apprezzai la sua forza. Un artista che trasmette una grande energia per affrontare i problemi della vita».

Un pensiero per chiudere...
«Questa avventura, questa fiaba è legata anche a ricordi e sensazioni. La storia di Buscaglia mi è piaciuta molto, la sua carriera una fiaba da raccontare. Vederlo giocare a Bologna dove lui si è formato dal punto di vista del gioco è stata una specie di sogno che si è realizzato, peccato che non fosse al 100% in quanto influenzato. Mi piacerebbe allungare questo racconto e magari vedere l’Aquila Basket giocare non solo il sabato e la domenica, ma anche durante la settimana e con questo non aggiungo altro.

Autore
Sandro Botto
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